Dal ristorante milanese al delivery internazionale: la cotoletta (sbagliata) di Anche.it

Esattamente un anno fa l’unica cosa che divideva Matteo Stefani, imprenditore della ristorazione milanese, dall’aprire la sua società in Cina era solo un volo aereo. C’era tutto dai fondi alla finalizzazione del progetto: l’apertura del primo ristorante all’interno del grande centro mall del lusso vicino a Shangai. Questi erano gli elementi alla base dell’avvio del piano di internazionalizzazione del suo business. Poi è arrivata la pandemia a fermare non solo lo sbarco in Cina ma anche il business in Italia: la micro-catena di ristorazione Anche di Milano con locali all’Isola, Porta Vittoria e NoLo.

Nell’annus horribilis della ristorazione, in cui si sono registrate perdite per 37,7 miliardi di euro (dati Fipe) e una riduzione media del 40% del fatturato annuo (arrivata all’80% nelle grandi città dove ha pesato di più l’assenza del turismo internazionale), Matteo Stefani sceglie di ri-allocare i fondi previsti per finanziare il progetto in Cina e avvia una sua nuova linea di business “a forte matrice milanese” e “perfettamente scalabile”: la cotoletta Made in Milano, ma sbagliata, consegnata in tutto il mondo (o quasi), sottovuoto. Dopo una prima fase più “artigianale” durante la pandemia si è passati a un primo test di mercato a luglio 2020 e poi, in modo più organico, a settembre. In 8 mesi sono state 20.000 le cotolette consegnate in tutta Italia ma anche Londra, Parigi e le montagne svizzere.

Tutto parte da uno sbaglio e dalla capacità di innovare

Il lancio della start-up di “cotoletta delivery” parte dai locali fisici e dallo spirito curioso e innovatore del suo proprietario. Che la ristorazione la pratica professionalmente da anni – formula semplice con forte twist creativo – e da sempre lo fa con lo spirito dell’imprenditore che ragiona su format, estensione del marchio, scalabilità e ingresso in altri mercati. Signature dish – come si dice in ristorazione – dei locali era diventata da qualche tempo “cotoletta sbagliata” nata quando il macellaio di fiducia dei ristoranti chiamò Stefani per chiedergli una mano a finire una partita in eccesso di braciole di maiale e lui decise di aiutarlo mettendo in menù la sua “cotoletta sbagliata” in cui oltre a sostituire vitello con il maiale decise di utilizzare l’arancia al posto del limone e il panko, panatura tipica giapponese, mixandola a scaglie di mandorle. La proposta, nata per caso, piacque da subito e diventò il piatto più richiesto dei locali che via via diedero vita anche alla versione per celiaci, vegetariani e intolleranti al lattosio.

Un’idea semplice e scalabile per un mercato che vale 1 miliardo di Euro in Italia e 40 nel mondo

Arriva il 2020, la pandemia, le chiusure e il cibo d’asporto. A questo punto i clienti abituali – la cotoletta come la pizza, ha “sacche” di estimatori e consumatori seriali – chiusi in casa a Milano chiedono di consegnare la loro cotoletta dei desideri a domicilio. Poco dopo cominciano a chiederla anche quei clienti che nel frattempo si erano spostati al mare, in montagna, in un altro paese europeo per raggiungere la famiglia. Alcuni, ancora, gli chiedono di confezionarla ad hoc e di inviarla come regalo ad amici a distanza: la cotoletta al posto del mazzo di fiori

Matteo e il suo team iniziano le analisi per stabilire quanti giorni si può conservare una cotoletta sottovuoto. La risposta – sei giorni – rende reale l’idea di spedire la cotoletta made in Milano in tutto il mondo. Stefani e il suo team iniziano a studiare regolamenti doganali di paesi europei, e non, e a cercare trasportatori in grado di garantire una serie di condizioni anche per i paesi più lontani. Parte al contempo una piccola campagna di marketing e comunicazione per misurare la domanda e la sua potenziale crescita e la risposta non si fa attendere.

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