La Lombardia che non c’è più

La Lombardia, con la sua vocazione all’avanguardia e al progresso, non è tradizionalmente associata alla storia e al passato. Solo a titolo di esempio, sono spesso in molti a sorprendersi di quanti siti dell’antica Mediolanum romana siano ancora oggi visitabili fra i palazzi della moderna Milano, città comunemente associata a moda e tecnologia. Eppure, proprio la costante tensione al progresso ha reso la Lombardia una zona ricca di testimonianze storiche, soprattutto se si considerano alcuni siti oggi ormai dismessi. Villaggi operai e fabbriche non più operanti sono solo alcuni dei punti di interesse di questa particolare categoria, e quando il sito in questione ha la fortuna di essere visitabile va ad inserirsi a buon diritto nelle mete degli appassionati di archeologia industriale, un settore turistico in costante espansione.

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Partendo proprio da Milano, è la città stessa ad essere consapevole del valore dei suoi siti produttivi del passato: per diretto interesse del Comune è nata Milano Industriale, una guida digitale disponibile online o tramite app e creata proprio avendo come obiettivo la valorizzazione di siti produttivi di grande valore storico, posti a testimonianza delle realtà industriali e della vita operaia del passato. Fra le tappe proposte spiccano sicuramente le Cucine Economiche, nate per fronteggiare i bisogni alimentari della numerosissima manodopera operaia che abitava nei vicini quartieri industriali, e il villaggio Falck, sorto per ospitare i lavoratori impiegati negli stabilimenti omonimi e servito da scuole e chiese.

Altro villaggio industriale invece si trova in provincia di Bergamo, nei pressi del fiume Adda: si tratta del villaggio operaio di Crespi d’Adda. Il villaggio sorse nel 1877 ad opera di Cristoforo Benigno Crespi, un imprenditore del settore tessile. Proprietario del vicino cotonificio, Crespi prese a modello i villaggi industriali europei per creare il villaggio operaio che sarebbe andato ad ospitare i lavoratori della sua fabbrica, abitato che prese non a caso il cognome del suo artefice. Anche in questo caso alle strutture residenziali si affiancavano gli edifici comunitari essenziali come scuole, ospedale, chiesa, teatro e impianti sportivi.

Molto più recente, invece, il passato di quello che fino a pochi anni fa era ancora uno dei pochi casinò fisici rimasti operativi in Italia: quello di Campione d’Italia. Sorto sul lago di Lugano, nell’exclave italiana facente parte del comune di Como, era il diritto erede del primo Casinò Municipale della zona, fondato nel 1917. Entrato a pieno regime nel 1933, nel 2007 è stato anche oggetto di un trasferimento in un nuovo e imponente palazzo realizzato appositamente dall’architetto Mario Botta. Pochi anni fa, nel 2018, la storia della struttura si è conclusa a causa della travagliata situazione economica in cui versava: sebbene già da diverso tempo gli appassionati prediligano le versioni online, non si può senz’altro rimanere indifferenti di fronte alla perdita di un luogo che era ormai considerato legato al territorio come una vera e propria attrazione.

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Altro ottimo esempio viene dai locali della ex centrale termoelettrica di Daste e Spalenga, a Bergamo. Nata del 1927, la centrale sfruttava il canale della Roggia Morlana per produrre e distribuire energia alle fabbriche del circondario. Ha continuato nella sua opera fino agli anni ’60, quando la generale riorganizzazione delle realtà produttive locali ha reso la centrale superflua, determinandone la chiusura. Da allora è andata incontro a una serie di ristrutturazioni e nuove destinazioni d’uso, l’ultima delle quali ha destinato nelle scorse settimane la struttura a un importante centro culturale e di aggregazione sociale, dopo il successo del progetto inaugurato negli stessi spazi nel 2016.

Infine, altro sito particolarmente interessante si trova a Martinengo, sempre in provincia di Bergamo: il Filandone. Si tratta di una fra le tante testimonianze del passato della zona, luogo di stabilimenti per la lavorazione dei tessuti. Il nome stesso è diretto riferimento alle sue dimensioni, che ne fanno una fra le filande più imponenti: costruita negli anni ’70 dell’800, ha rappresentato per anni uno dei punti centrali per la lavorazione del baco da seta. Si trattava comunque di una produzione particolarmente soggetta a crisi, aspetto che determinò una serie di alti e bassi delle attività fino alla loro cessazione, nel secondo dopoguerra. Da allora e fino agli anni ’80 il sito è rimasto inutilizzato, eccezion fatta per una breve parentesi nel 1976 nella quale venne usato come set per alcune scene de L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi: solo nel 1982, infatti, il Comune entrò in possesso dell’immobile, restaurandolo e destinandolo infine a sede della biblioteca nel 2013.

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